MIA MADRE (Nanni Moretti 2015) Voto complessivo: 8 e mezzo |
Da aficionado di Nanni Moretti personaggio pubblico, regista e attore farò una premessa doverosa: anche se queste tre "maschere" possono sembrare parte di un unico universo inscindibile, sono invece molto ben distinte. Tant'è che Moretti ha lavorato in diversi film solamente come interprete e incarnando personaggi anche molto diversi (Il Portaborse su tutti). Proprio in occasione di tali prove decisive, ha scoperto un potenziale più umano e ordinario trovandone una sorta di apoteosi nella recente filmografia personale, in contrapposizione alle caratteristiche folli o in qualche modo dissociate che proponeva nel suo primo periodo.
Partì tutto da Giovanni Sermonti in La stanza del figlio (2001), che ha segnato con la vincita a Cannes il momento spartiacque definitivo non solo per la poetica del suo cinema, ma anche materiale e tecnico. Inizia una nuova fase, divorzia da moglie e dal cofondatore della sua casa di produzione (Sacher), cambiano alcuni dei collaboratori artistici (fotografia, scenografie) con l'arrivo del discusso Il Caimano (2006), a onor del vero poco politicamente impegnato, nonostante ci sia di mezzo Berlusconi...
Grazie all'impianto metacinematografico del film qualcuno scomoderà nomi come Fellini e un po' ci prende, anche se Moretti è infinitamente diverso. Arriva poi Caos Calmo (2008) di Grimaldi, che è un po' anche suo considerato che Moretti qui co-sceneggia e riprende il tema del lutto. Infine Habemus Papam (2011), tragicommedia clericale ed equilibrista fra il surreale e il grottesco, con un gigantesco Michel Piccoli e un ruolo più leggero ritagliato per Moretti stesso, il quale ironizzava già dal lavoro precedente di avere voglia di commedie. Peccato che durante la fase di montaggio di Habemus, arriva il lutto vero e peggiore di tutti, la morte della madre. Recentemente comincia a pensare di chiudere questa parentesi tragica del suo cinema dedicando proprio quest'ultimo film a lei.
L'omaggio viene incarnato da una brava attrice di teatro, Giulia Lazzarini, che nonostante il ruolo difficile e l'onere intrinseco dell'impersonare quella che è di fatto la madre di Moretti, porta avanti fino alla fine questa prova con grande forza. Medesimi esiti per Margherita Buy che, ormai al suo terzo film con Nanni, si rivela essere un perfetto alter ego morettiano: finalmente trova la dimensione più naturale per sfogare le sue peculiari nevrosi nello stesso ambiente in cui lavora, il cinema. Moretti usando lei, a più riprese, sembra lanciare invettive più caustiche del solito al mondo del cinema troppo artefatto ("Il regista è solo uno stronzo a cui permettete di fare tutto!" "È tutto fasullo!"). Questa tematica emerge emblematicamente nelle sequenze in cui Margherita duetta con John Turturro. Il quale oltre a far ridere di gusto, compie un raffinato lavoro sui temi metacinematografici, buttandosi sul corrispettivo attoriale e anche sul confronto cinematografia italiana vs cinema di Hollywood. C'è molto anche di improvvisato e il fatto che Moretti gli abbia lasciato carta bianca, ha giovato al film!
Sotto la maschera della macchietta comica, si inserisce nel personaggio di Turturro un gioco di specchi con la vicenda dei fratelli alle prese con il capezzale della madre: infatti anche lui ha la sua parte di dolore in questa storia e dietro gli scherzi su un famigerato film mai fatto con Kubrick e citazioni musicali di felliniana memoria, egli rappresenta bene, insieme alle difficoltà da regista di Margherita, tutta la decadenza del cinema (non solo nostrano), sempre più vuoto ed artificioso.
Da qui forse si spiega anche una fotografia, a cura dello stesso Catinari che lavorò ne Il Caimano, che oltre a rispecchiare i toni lugubri legati alle vicende dolorose dei due fratelli con l'uso di cromie tendenti al grigio e luci insolitamente tenui, sembra voler sottolineare la situazione tragica del nostro cinema - e forse anche il crepuscolo morettiano -, dove si è giunti ad autoalimentarsi sempre con le stesse storie e gli stessi schemi. "Rompi almeno uno schema su 200, dai!".
Alla stampa Moretti stesso, che di solito è molto evasivo e riluttante, ha quasi ammesso di aver fatto del "film nel film" un soggetto volutamente ridicolo e di avere colto l'occasione per fare anche un po' di autocritica. Fra le facce dei comprimari ritroviamo alcuni volti provenienti soprattutto dalla fiction televisiva, i quali sembrano materializzare l'ennesimo gioco metalinguistico di Mia madre. Enrico Ianniello, che nel film interpreta Vittorio, attore del film di Margherita con cui lei ha chiuso recentemente una relazione, sembra quasi recitare in quel modo impostato e un po' fasullo da fiction tv anche quando sta fuori dal set, vedi soprattutto scena in cui rimprovera Margherita di mancare di sensibilità e peccare di egocentrismo.
Sempre più saldi sono la ristabilita collaborazione con il compositore Franco Piersanti dopo la parentesi Piovani, e l'uso della musica non originale di cui ha sempre fatto tesoro Moretti sin dai primi tempi. Il film è molto ben strutturato e fatto di strati che si amalgamano senza stonare gli uni con gli altri. Il montaggio del giovane Clelio Benevento alterna con grazia soprattutto al presente oggettivo alcuni momenti di evidente depistaggio onirico o immaginifico, che si raccordano a volte con gli sguardi pensierosi di Margherita (vedi montaggio alternato con la sequenza della fuga dall'ospedale) oppure con semplici momenti di risveglio da incubi, seguiti da eventi reali pur terribili.
Grazie all'impianto metacinematografico del film qualcuno scomoderà nomi come Fellini e un po' ci prende, anche se Moretti è infinitamente diverso. Arriva poi Caos Calmo (2008) di Grimaldi, che è un po' anche suo considerato che Moretti qui co-sceneggia e riprende il tema del lutto. Infine Habemus Papam (2011), tragicommedia clericale ed equilibrista fra il surreale e il grottesco, con un gigantesco Michel Piccoli e un ruolo più leggero ritagliato per Moretti stesso, il quale ironizzava già dal lavoro precedente di avere voglia di commedie. Peccato che durante la fase di montaggio di Habemus, arriva il lutto vero e peggiore di tutti, la morte della madre. Recentemente comincia a pensare di chiudere questa parentesi tragica del suo cinema dedicando proprio quest'ultimo film a lei.
L'omaggio viene incarnato da una brava attrice di teatro, Giulia Lazzarini, che nonostante il ruolo difficile e l'onere intrinseco dell'impersonare quella che è di fatto la madre di Moretti, porta avanti fino alla fine questa prova con grande forza. Medesimi esiti per Margherita Buy che, ormai al suo terzo film con Nanni, si rivela essere un perfetto alter ego morettiano: finalmente trova la dimensione più naturale per sfogare le sue peculiari nevrosi nello stesso ambiente in cui lavora, il cinema. Moretti usando lei, a più riprese, sembra lanciare invettive più caustiche del solito al mondo del cinema troppo artefatto ("Il regista è solo uno stronzo a cui permettete di fare tutto!" "È tutto fasullo!"). Questa tematica emerge emblematicamente nelle sequenze in cui Margherita duetta con John Turturro. Il quale oltre a far ridere di gusto, compie un raffinato lavoro sui temi metacinematografici, buttandosi sul corrispettivo attoriale e anche sul confronto cinematografia italiana vs cinema di Hollywood. C'è molto anche di improvvisato e il fatto che Moretti gli abbia lasciato carta bianca, ha giovato al film!
Da qui forse si spiega anche una fotografia, a cura dello stesso Catinari che lavorò ne Il Caimano, che oltre a rispecchiare i toni lugubri legati alle vicende dolorose dei due fratelli con l'uso di cromie tendenti al grigio e luci insolitamente tenui, sembra voler sottolineare la situazione tragica del nostro cinema - e forse anche il crepuscolo morettiano -, dove si è giunti ad autoalimentarsi sempre con le stesse storie e gli stessi schemi. "Rompi almeno uno schema su 200, dai!".
Alla stampa Moretti stesso, che di solito è molto evasivo e riluttante, ha quasi ammesso di aver fatto del "film nel film" un soggetto volutamente ridicolo e di avere colto l'occasione per fare anche un po' di autocritica. Fra le facce dei comprimari ritroviamo alcuni volti provenienti soprattutto dalla fiction televisiva, i quali sembrano materializzare l'ennesimo gioco metalinguistico di Mia madre. Enrico Ianniello, che nel film interpreta Vittorio, attore del film di Margherita con cui lei ha chiuso recentemente una relazione, sembra quasi recitare in quel modo impostato e un po' fasullo da fiction tv anche quando sta fuori dal set, vedi soprattutto scena in cui rimprovera Margherita di mancare di sensibilità e peccare di egocentrismo.
Sempre più saldi sono la ristabilita collaborazione con il compositore Franco Piersanti dopo la parentesi Piovani, e l'uso della musica non originale di cui ha sempre fatto tesoro Moretti sin dai primi tempi. Il film è molto ben strutturato e fatto di strati che si amalgamano senza stonare gli uni con gli altri. Il montaggio del giovane Clelio Benevento alterna con grazia soprattutto al presente oggettivo alcuni momenti di evidente depistaggio onirico o immaginifico, che si raccordano a volte con gli sguardi pensierosi di Margherita (vedi montaggio alternato con la sequenza della fuga dall'ospedale) oppure con semplici momenti di risveglio da incubi, seguiti da eventi reali pur terribili.
Moretti, eccetto qualche sprazzo di ironia tipicamente sua, fa un normalissimo ingegnere che a causa della depressione per la situazione della madre arriva alla decisione di licenziarsi. Mancando l'istrione sarcastico e giocherellone che trovavamo ancora in Habemus Papam, si compie definitivamente la destrutturazione del suo personaggio confluito come un fantasma in Margherita, ma in forme comunque diverse. Qui inoltre scompaiono quasi completamente il teatrale e il grottesco. Si raggiunge una semplicità e compiutezza stilistica che non è necessariamente migliore, ma l'evoluzione di un regista le cui visioni sul mondo sono mutate come è normale che sia dopo quasi 40 anni di carriera. La morte della madre è un momento reso bene dal punto di vista dei figli e anche dei nipoti. Avendo vissuto questo è facile commuoversi, ma di qui ad arrivare ad affermare, come è successo, che Moretti strumentalizzi il lutto ci andrei cauto.
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