IL RACCONTO DEI RACCONTI (Matteo Garrone 2015) Voto complessivo: 9 |
Un'ossessione potente,
metafisica, ma molto umana, che si ingigantisce fino alle più
assurde, mostruose e spesso tragiche conseguenze. Questo è stato quasi
da sempre il fil rouge della cinematografia di Garrone sin da
L'imbalsamatore e, in questa parentesi solo apparentemente
mainstream, vediamo questo suo 'totem' incarnarsi concretamente nella
pulce allevata del re nano, da minuscola crescere fino a diventare una creatura grande ormai impossibilitata a sostenersi da sola sulle proprie esili zampette.
pulce allevata del re nano, da minuscola crescere fino a diventare una creatura grande ormai impossibilitata a sostenersi da sola sulle proprie esili zampette.
In ogni segmento
narrativo ispirato a tre delle cinquanta novelle fiabesche del 600 di
Basile (Lo Cunto de li Cunti), il film è attraversato dal filo conduttore dell'ossessione,
infine anche da un leitmotiv proprio del genere fantasy, in cui si va
a inserire Il Racconto dei racconti con le sue dovute differenze e
digressioni: la Dicotomia. L'ottavo lungometraggio di Garrone è
completamente immerso nei Doppi, che si separano, ma sono destinati a
coesistere e rincontrarsi in eterno, sia per amore che per odio.
E
così scoviamo una sequela di coppie, di oggetti e personaggi/freaks
che non possono esistere altrimenti se non partendo dalla duplicità: due labirinti (quello di pietra e quello naturale in cui
Viola si ritrova intrappolata nella fuga finale dall'Orco), due re e
due regine, due fratelli e sorelle, padri/madri e rispettivi figli,
due funi per l'equilibrista circense (una per la fuga e una infuocata
per l'enigmatico epilogo). Non mi pronuncerò sulle trame sviluppate
ad arte tramite il montaggio alternato di Spoletino, che fa lo slalom
fra le tre novelle per l'intera durata del film, a mo' di suscitare
nel pubblico l'attesa della sorpresa, come spesso neanche le migliori
serie tv riescono a fare.
Ma qui, anche se Garrone
non ha negato varie ispirazioni nostrane (Pasolini) e
britanniche (Trono di Spade), non siamo davanti alle solite virtuali
rappresentazioni in computer-grafica a cui Hollywood in particolare
ci abitua quando ci immergiamo nel fantasy. Il progetto del film,
senz'altro ambizioso e costoso per l'Italia, ha avuto l'accortezza di
sfruttare il meno possibile questo mezzo ed il risultato che
otteniamo è davvero stupefacente. Assistiamo qui a una squisita
avventura fiabesca ricca di episodi grotteschi e rocamboleschi,
comici e persino orrorifici, che più che trattarsi di un diversivo
per Garrone, sembrano prendere parte a un processo, oltre che di
(ri)appropriazione dell'opera di Basile, di raffigurazione pittorica
della tradizione letteraria di genere. E quindi sovvengono in
particolare Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi, che Comencini
non affatto indegnamente adattò per la televisione e più avanti,
invece tragicamente Benigni pensò bene di demolire volendo
resuscitare un progetto di felliniana memoria.
Qui la regia, a
differenza dei precedenti lavori, è più classica e ligia ai canoni,
ma rinunciando all'ormai abusatissimo veicolo della voce narrante per
andare a riempire certi buchi di trama, decide di affidarsi totalmente al
racconto per momenti, pittoricamente altissimi, spazi naturali, giochi di sguardi e
carrelli a seguire o a precedere, che danno dunque occasione alla cinepresa di creare
vividi momenti cinematografici. Salma Hayek è l'algida regina di
Selvascura (riferimenti danteschi?), brama un figlio e disposta a
tutto per averlo tutto per sé, perderà la ragione e diventerà un mostruoso pipistrello. La prima scena che ce la presenta, assente e malinconica, è totalmente alla mercé delle immagini calde, fiammeggianti fotografate da Peter Suschitzki e della musica ipnotica di Alexandre
Desplat. Il cast de Il racconto dei racconti è internazionale,
squisitamente e giustamente aggiungerei. In Italia si è persa la
cultura per questo cinema di genere, quindi i nostri attori non sono
sempre pronti per riaffrontarlo... Così Garrone opta per nomi
forestieri anche molto noti, come Vincent Cassel. La beffa oltre al
danno: gli unici italiani, all'infuori della Rohrwacher, Renato
Scarpa e Franco Pistoni, non hanno dialoghi, rimangono sullo fondo
come spetta a una comparsa che si rispetti. Non è una sorpresa la
bravura di Cassel, specie quando si dà a ruoli da commedia ridicola, ma
la più bella sorpresa è stata la giovanissima Bebe Cave nel ruolo
della principessa Viola, che specie nella conclusione di quest'opera
sembra assumere un ruolo chiave rispetto a tutti gli altri,
definitivo e unificatore per questo magico e bizzarro insieme di
regni. Regni segnati da fatti straordinari, illusioni
cinematografiche più uniche che rare per il nostro paese e che, in
definitiva, ambientandosi il film in luoghi più che reali,
conosciutissimi (Ponte del diavolo, Castel Del Monte, Donnafugata per
dirne alcuni), ha l'effetto di scombussolare e stranire notevolmente
il pubblico.
Beh, non sembra affatto male quindi. Quasi quasi... già il trailer mi aveva attirato, però ne ho sentito parlare a volte bene a volte male. Insomma, tocca vederlo e giudicare da me :D
RispondiEliminaÈ la cosa migliore! ;)
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