lunedì, giugno 01, 2015

Forse sono malato, ma la cosa che preferisco più di tutte è OSSERVARE




Se c'è una cosa che preferisco fare più di tutte, quella è osservare. Che si tratti di luoghi, strade o persone non cambia molto. A dire il vero, prediligo le persone perché i luoghi possono cambiare, ma sono cambiamenti di norma molto sottili. I cambiamenti nei comportamenti degli individui possono essere invece repentini. E così puoi assistere a una litigata, una scazzottata o una scena d'amore con il divertimento voyeuristico dello spettatore esterno, quello che guarda dall'alto, osservando da una finestra sul retro...

La finestra sul cortile, Hitchcock 1954

E poi c'è il capitolo quartieri e case. Mi ritrovo a volte, per spezzare la monotonia degli stessi percorsi di passeggio, a camminare lungo la via aretina di Bellariva (Firenze) dove si può trovare una decina di palazzine popolari niente male dal punto di vista dello spettatore. Sono tutte diverse, pur essendo uguali. E con quelle rampe di scale esterne, le terrazze chiuse con vetrata, hai la possibilità di assistere a qualche interessante evento, se ti piace intrufolare il tuo occhio-cinepresa nella vita delle persone. Non intendo nel senso 'maniacale' del guardone. Nel senso che, come Nanni Moretti, amo osservare tutto, case comprese, magari avere la possibilità di visionare quel poco che mi basta di un appartamento dal suo interno o dal suo cortile per poter immaginare come vivono le persone. In effetti, non voglio sapere nessun fatto reale, ma sono curioso e il mio occhio vuole immaginare quello che più piace fare alla mente creativa. Cosa che faccio anche con la gente che non conosco. "Forse sono malato!" o forse un filmmaker mancato...

Sequenza del palazzo in Una giornata particolare 
(E. Scola 1977)

Ecco quindi avvicinarsi la conclusione del mio post, che può sembrare un delirio: il nostro sguardo è diventato cinematografico. Molto semplice. Perché il cinema ci ha educato a questo tipo di visione quando ci rapportiamo col mondo circostante. Se si è dotati di un po' di curiosità e fantasia, intendiamoci. Non per tutti è così. Chi non ha tempo o non lo vuole trovare, non si soffermerà mai ad osservare più di tanto. Guarderà distrattamente oppure sarà in preda alla schiavitù (ebbene sì) di un mezzo come l'automobile, che per forza di cose impedisce di entrare nel dettaglio. L'auto non è contemplativa, è una carrellata rapida e fredda. Passeggiare, andare in vespa o in bici, ti permette di soffermarti e di avvicinare lo sguardo della tua personale cinepresa, restringendo il campo di visione e guardando il consueto con l'occhio analitico che lo rende più vivo e quindi peculiare.


Il primo capitolo di Caro diario (1993) in questo senso è un esempio emblematico nel nostro cinema ingabbiato per forza di cose nel narrativo. Si è permesso di portare nella distribuzione - magari non mainstream, ma di un certo rilievo trattandosi di Moretti - qualcosa di inusuale, a cavallo fra il documentario e l'episodico fatto di scene umoristiche non interconnesse (struttura astrutturale tipica del primo cinema di Moretti), che suggerisce una notevole volontà di fare un cinema-realtà fervido (vedi anche Aprile, 1998). Con quel lungo epilogo sulle note di Keith Jarrett c'è addirittura da parte del regista un brutale abbandono delle scenette sopra menzionate, per abbandonarsi totalmente al contemplativo per eccellenza. 

Ecco, se il cinema non ci offre quasi più questo sguardo perché considerato dal pubblico di massa "noioso" noi stessi abbiamo la possibilità di metterlo in azione! Persino i social sono la dimostrazione di ciò. Ultimamente Periscope, il più noto facebook, ma in particolare Youtube e il mondo dei vlogger, ci mostrano le loro stanze, le loro case, le loro vite e questo è diventato, più inconsciamente in realtà, un mezzo di auto-cinema che si fa di conseguenza sguardo spettatoriale, nell'occhio naturalmente di chi ha voglia di immaginare e andare oltre ciò che appare immediatamente.

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Per la serie #FacceDaCulo

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